A festa ra barca

di Maria Gabriella Pezzarossi

Il tamburo avanza a colpi decisi e penetranti. Un annuncio al paese che qualcosa di straordinario sta succedendo. Dietro il tamburino gli araldi e le dame di Castel Bajardo si incamminano lungo la strada principale del villaggio per lasciar posto ad una figura imponente, alta e vestita con abiti sontuosi; chiaramente il personaggio più importante del corteo: il Conte. Dietro di lui altre autorità locali, nei costumi del tempo (alto Medioevo), poi un vuoto inatteso seguito da una giovane donna incatenata. Il boia incappucciato la precede.

 

I turisti ai lati della strada guardano incuriositi e un po’ smarriti. I bambini eccitati sono costretti dai genitori a non scendere dal marciapiede.
– E’ incatenata quella ragazza – chiedo a uno di loro – ma cosa ha fatto? Il boia la ucciderà? – Il ragazzino mi guarda sorpreso e mi rassicura.
– Ma non la ucciderà per d’avvero. No! E’ solo per finta! –
La festa “ra barca” si ripete ogni anno alla domenica di Pentecoste, ma niente di religioso, solo la data che ritorna. Una testimonianza del passato che unisce il folclore locale alla storia dei traffici commerciali del legname, alla leggenda popolare che ha coinvolto storici e studiosi con versioni che sfumano nell’allegoria. Un connubio tra la cultura marinara e la cultura alpina, lo scambio tipico del territorio ligure che vede il mare e i boschi intersecarsi in un paesaggio che si inerpica sulle Alpi Marittime senza abbandonare mai lo sguardo sul grande mare.
Il corteo procede con passo imponente, fa il giro del paese sempre accompagnato dai colpi lancinanti del tamburo. Torna nella piazza centrale dove una breve scena teatrale vede la madre implorare pietà per la figlia. Il padre inamovibile decreta la punizione estrema per la disubbidienza della figlia.
All’angolo della strada un tronco di larice mondato dei rami e della corteccia è pronto per essere issato, proprio come se fosse l’albero di una nave. Alla sommità è rimasto un ciuffo verde di rami e di foglie. Il mio vicino, un locale, mi dice che doveva esserci la testa di Angelina legata in alto; un altro mi spiega “ è l’albero della nave che se ne va”. Una ricchezza di significati e di letture suscitate dalla misteriosa vicenda. Un girotondo intorno all’albero unisce locali, turisti e bambini. Le donne intonano la prima canzone.
“ La barca del mio amore
La barca del mio amore

stanotte se ne va. Ahi! Stanotte se ne va!”
“Se io fossi una cardellina
Se io fossi una cardellina
che sapesse volare . . .ahi! se sapessi volare!”
“Sulla punta della nave . . .
sulla punta della nave
andrei a posarmi, ahi! Andrei a posarmi!
– Ratandirondena, ratandirondà!”

 

LA STORIA
Un viaggio intorno a un amore proibito. Una cerimonia che taluni hanno voluto identificare nella tradizione “celtica” dell’armonia universale, altri nella manifestazione “pagana” della solidarietà popolare di fronte a un’ingiustizia. Uno dei pochi riti non inglobato dal cristianesimo.
“ Ra barca” è una barca senza scafo e senza vele che naviga da ferma sul selciato della piazza. Essa consiste in un altissimo tronco di larice sormontato da un pino verde piccolo che funge da pennacchio.
Nella notte che precede la festa i giovani del villaggio abbattono un larice e lo trascinano al lume delle lanterne, fin sulla piazzetta. Durante la festa lo sollevano con pesanti funi e lo fissano solidamente in una fossa scavata appositamente nel terreno. E’ altissimo, proprio come l’albero di una nave. Le canzoni recitate nei girotondo raccontano la storia delle tre figlie del Conte che si innamorarono di tre ragazzi pisani arrivati a Bajardo per procurare il legname per la costruzione delle navi.
Il padre pone alle figlie il divieto di vedere i ragazzi forestieri, ma la più piccola Angelina non ubbidisce e scappa nel bosco per poi raggiungere l’amato. Al padre che le intima di tornare a casa lei risponde:
“Mi potrete battere, mi potrete uccidere,
ma il mio amato non lo lascerò partire
che il mio amato non lo lascerò partire!”
Il padre le infligge la punizione più spietata: le taglia la testa.
“La barca del mio amore
la barca del mio amore
sta notte se ne va. Ahi! Stanotte se ne va!”

 

LA DISUBBIDIENZA
Se ci spingiamo indietro nella Storia scopriamo che la cultura patriarcale ha dominato per secoli, anche successivamente al famoso “pater familias” del tempo di Roma. Nel Medioevo e nel Rinascimento i padri esercitavano ancora un potere assoluto sulla famiglia così che l’ubbidienza da parte delle mogli e dei figli non era una richiesta, ma un obbligo. Parlando di potere non mi riferisco solo all’esercizio della potestà familiare “privata”, ma a un potere sancito e avallato dal sistema delle leggi e del costume sociale. Il padre era il perno sul quale ruotava l’asse familiare e niente poteva sottrarre i figli alla sua autorità. Era sempre il padre a decidere, in base ai suoi calcoli, con chi dovessero sposarsi, spesso giovanissimi e le figlie femmine potevano essere date in moglie fin dall’età di dodici anni. Non sono così rari i padre che ora chiameremmo assassini. Passeranno secoli di guerre, di rivoluzioni, di cambiamenti forzati prima di vedere il potere paterno meno oppressivo, il non considerare i figli come un possesso e l’affacciarsi di pari rilevanza tra padre e madre.
Ed è qui che mi sorprende la celebrazione di una festa che perdura da più di ottocento anni e da secoli rende onore ad una ragazza coraggiosa che si ribella al padre e per questo viene uccisa.
“ Una femminista ante litteram?” si domanda lo speaker che commenta la festa.
“Certamente !!!” Vorrei rispondergli. Grande merito e grande lode ad Angelina che ha avuto l’ardire di opporsi e di trasgredire a imposizioni e leggi disumane che hanno tenuto le figlie in condizione di soggezione e di coatta deferenza al padre.
Ed è qui che mi unisco agli abitanti di Bajardo che esprimono con questa festa un profondo riconoscimento a chi ha avuto il coraggio della disubbidienza. Leggo in questa straordinaria manifestazione la saggezza popolare che non vuole tacere e non può che riconosce e accusare l’ingiustizia umana che tutela i privilegi dei potenti, anche se mascherata e sostenuta dalle leggi.

Non mancherò l’anno prossimo!

 

Una risposta a “A festa ra barca”

  1. brava Gabriella, come al solito hai saputo evidenziare l ‘estremo
    potere dell’uomo nei confronti della donna che non si ferma nem
    meno davanti all ‘assassinio della figlia. mi piace sempre il tuo modo
    disinvolto di scrivere belle storie.

I commenti sono chiusi.